31 gennaio 2008
Credo
sia utile intervenire sugli indirizzi dell'itinerario deciso dal
Ministero per la Solidarietà Sociale, nell'ambito delle attività afferenti alla
3ª Conferenza sulla Disabilità.
In questo si deve riconoscere all'uscente Ministro Paolo Ferrero il merito di
aver scelto di affrontare il territorio. E' evidente che si tratta di un
proposito positivo, potenzialmente chiarificatorio-propositivo da/verso
tutti. Infatti, in ambiti politici (decisionali) una conferenza,
indipendentemente dal tema, ha valore di inchiesta < > relazionata,
serve per mettere insieme ogni sapere da convertire in decisioni a carico dei
vari poteri.
Premesso ciò, Governo Centrale, Regioni, Comuni e le varie altre istituzioni
devono assumere posizioni coerenti e basilarmente omogenee rispetto a tutti i
presupposti dettati dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone Disabili in
via di Ratifica da parte del nostro stato (?...).
Pertanto, la questione di fondo è nel rendere operativo, esigibile,
detto presupposto secondo lo scacchiere prospettato. A fronte di tali
presupposti la Conferenza può rappresentare una grande occasione di
elaborazione. Preliminarmente, tale tratto potrebbe essere tutelato solo a mezzo
di una partecipazione diffusa, orizzontale, capillare.
Dal 1° incontro svoltosi a Firenze - Regione Toscana, da quanto si è potuto
apprendere sono emersi metodi > temi meritevoli di qualche riflessione.
Innanzi tutto è emerso che l'evento di Firenze non è stato sufficientemente
pubblicizzato, si tratta di una constatazione che ricavo da commenti derivanti
da quel territorio cittadino - regionale.
Qui subentrano questioni inerenti i modi/tempi di partecipazione delle persone
disabili.
Per ragioni ovvie sulle quali non sarebbe neanche il caso di soffermarsi, le
cose sapute per sentito dire casuale e/o avvisate all'ultimo momento e/o non
accompagnate da supporti organizzativi, verso le persone disabili non di
apparato, funzionano come meccanismo di esclusione latente.
Insomma, per molti disabili comuni scatta quel.... vorrei ma non posso,
per motivi sostanzialmente riconducibili alla mancanza di VITA INDIPENDENTE.
Nella società della comunicazione, del villaggio globale e della cultura dell'
organizzazione, è strambo che proprio verso di noi, rispetto a tali caratteri si
perda memoria.
Tutto questo, in occasione di un evento inaugurale a cui faranno seguito altri
20 incontri.
Allora, per quanto riguarda gli incontri successivi, sarebbe bene evitare tutti
quegli inconvenienti/sbarramenti che partono dall'informazione, supporti
organizzativi, per finire con l'accessibilità > fruibilità dei luoghi. Rimarcare
questi aspetti non significa essere prevenuti o criticanti ad oltranza, ma
indurre a far registrare delle lacune emerse in occasione di quel primo
incontro.
Tale impostazione muove dal presupposto che le persone disabili comuni possono,
vogliono, "devono" PARTECIPARE, possibilmente incluso nella scelta di recarsi
presso altre Regioni, vicine o lontane. Attenzione, mettere in chiaro tali
concetti non è altro che tradurre in concretezza le tanto decantate pratiche
antidiscriminatorie, pari opportunità. Ovvero, niente altro che i contenuti
portanti della Convenzione ONU.
Chiudendo su tale questione, facciamo in modo che altrove, ri-partendo
dall'incontro di Genova del 01/02, non si vadano ad esportare le cose accadute a
Firenze.
Detto francamente, prevenire è meglio che curare... e nel precisare
questo penso anche all'incontro del 25/02 a Napoli, come agli altri nelle
Regioni del Mezzogiorno.
Entrando nel merito degli argomenti sviluppati, è strategicamente fondamentale
che i nostri contributi siano liberi-estemporanei, mettendo in luce critiche,
bisogni ed aspirazioni in forma di creatività nella diversità di condizione ed
idee. Parallelamente, si dovrebbe instaurare un percorso dove si sistemano tali
contributi, si tramutino in contenuti politicamente propositivi, da trasferire
in decisioni da convertire in diritti esigibili.
Certo, tutto questo si scontra con gravi e risaputi difetti di RAPPRESENTANZA,
ma per gli incontri successivi, tale sforzo è FONDAMENTALE.
Inoltre, bisogna fare in modo che quanto emergerà dalle successive tappe non si
disperda in tante ISOLE SCOLLEGATE FRA LORO, prive di continuità - connessione >
finalità comuni.
Insomma, 20 parlatori-sfogatoi dove si celebrano lamentele < >
propaganda politica da/per varie direzioni. Poi, alla fine di tutto ciò, si
torna alla solita realtà del tutto come prima o all'incirca. Questo grazie al
fatto che si resta ancora una volta in ordine sparso.
Insomma, il reiterarsi del classico dividi et impera...
Rispetto l'iniziativa in questione, sarebbe fondamentale che fra questi
incontri si costruisca una continuità forte. In tal senso propongo che possano
emergere delle figure (non di apparati) disposte a garantire una qualche forma
di presenza itinerante, magari a turno. Questo sarebbe un deterrente verso il
pericolo delle 20 isole e verso la tentazione di propinarci tante minestre,
tutte uguali.... un conformismo con l'alone di federalismo.
Andando ai più salienti temi emersi nell'incontro di Firenze, penso sia utile
riprendere qualche questione. Sulla VITA INDIPENDENTE a volte il discorso deve
essere spostato in avanti rispetto al solito dibattito incentrato sul
significato generale e sui retroterra culturali di tale pratica. Sono passaggi
essenziali, indispensabili per una lettura adeguata, ma qui emerge che si deve
fare i conti anche con elementi analitici che entrino in ambiti operativi da
gestione organizzativa. Dalla premessa al fatto contingente: anche a Firenze è
emersa la faccenda che la V.I. non sarebbe altro che un espediente per mettere
in atto pratiche scorrette e che di fatto per neutralizzare ciò la soluzione è
nelle prestazioni domiciliari da parte di maestranze di provenienza varia (si
vocifera, cooperative). Pare che qualche persona disabile del luogo abbia
sbottato: "stiamo ancora a questo, ovvero al sillabario!"
Tali idee devono essere occasione per produrre varie riflessioni. Si tratta di
una filosofia piuttosto diffusa, il Ministro Ferrero a Firenze non ha fatto
altro che esternarla. D'altronde, meglio la franchezza che covare dentro,
facciamocene una ragione e misuriamoci con detta realtà.
Se un pensiero è forte, la migliore risposta è nell'accettare la sfida, scendere
sullo specifico terreno delle congetture, per confutarle. Si prenda atto che il
nostro sapere è forte perché ha retroterra culturale e tanta elaborazione. Molto
spesso questo scaturisce da percorsi di vita SOFFERTI e la sofferenza può
FORMARE. Il ceto politico (dall'estrema destra all'estrema sinistra)
farebbe bene a capire un concetto fondamentale: le persone disabili non sono
necessariamente deboli, ma piuttosto NECESSARIAMENTE ESPOSTE. A sua
volta l'esposizione produce RISCHIO, esso innesca esiti talvolta positivi, in
molti altri drammatici.
La nostra storia sociale lo dimostra ampiamente. Su tale terreno potrei
soffermarmi abbondantemente, ma spero basti....
Intanto, a fronte di talune teorizzazioni sembra di trovarsi al cospetto di un
ragionamento di questo profilo: "Nutrirsi è molto pericoloso perché la
probabilità di affogare è alta... di conseguenza è meglio assumere le sostanze
vitali a mezzo flebo"!
Trattando metafore e paradossi per ciò che sono, è bene entrare nel vivo della
questione.
Innanzi tutto, con quella formula organizzativa non si potrebbe mai produrre
V.I., ma forme di assistentati alla persona, in contesti domiciliari -
circondariali (la definizione non è casuale).
Tale modello, in situazioni di specifici deficit funzionali o vincoli culturali,
può essere praticato, ma la VERA VITA INDIPENDENTE per le persone disabili che
possono-vogliono autodeterminarsi, deve essere garantita. Si deve sancire che è
un atto dovuto preminente rispetto ai contenuti della Convenzione ONU.
Entrando ulteriormente nei termini della questione, l'assistenza diretta non può
garantire vita indipendente per un motivo estremamente chiaro, legato alle
caratteristiche della giornata lavorativa. Forse, solo con il ciclo continuo
(come per talune attività-produzioni), ci si approssimerebbe alla pratica della
vita indipendente. Però è evidente che siamo nell'ambito di un esempio limite,
da puro esercizio teorico.
Per quanto riguarda la preoccupazione di chi sospetta che i soldi stanziati per
la V.I. verrebbero dirottati per altri lidi fra "truffe e sfruttamenti di
badanti", è bene precisare che:
a) altre formule di prestazioni lavorative non è detto che rappresentino la
panacea verso abusi-sfruttamenti, incluso se erogati a mezzo cooperative;
b) vi sono ben altri strumenti di controllo-sbarramento per fare in modo che si
possa verificare l'utilizzo del danaro. Gli stati che fanno riferimento ad i più
evoluti modelli di welfare state, li praticano con efficacia. Il riferimento è
al modello di welfare universalistico < > tematico > particolaristico.
Semplificando, è un vestito su misura, nell' ambito di date caratteristiche
corporali si estrapola un modello di vestito standard-elastico e modificabile,
da quello di costruisce un abito legato alla persona. Spero che la metafora
funzioni.
Sicché accennando alla fase preliminare di un'applicazione del genere, emerge
che: osservando la dinamica dalla posizione delle persone disabili con bisogni
di v. i. , visto che trattiamo di profili che con gli ICF alla mano, recano
pesanti impedimenti nell' autonomia, ne deriva che sono necessitanti PER FORZA
di interventi CONTINUATI NEL RAPPORTO SPAZIO - TEMPO. Di conseguenza, sembra
quanto meno strano (direi provocatorio e ci torno) che rinunzino a tale
intervento per intascarsi/fare intascare (anche qui ci torno) i quattrini della
V.I.!
Spostando l'osservazione dalla posizione del personale (straniero e/o italiano)
assunto con tanto di contratto, non è credibile che ACCETTI STIPENDI DECURTATI A
FRONTE DI UN TEMPO-IMPEGNO LAVORATIVO PIENO! Attenzione, qui non
trattiamo di soggetti privi di permesso di soggiorno, a lavoro nero. E' ora che
ci si renda conto, per ottenere V.I. occorre lavoro VERO, qualificato, duttile,
impegnativo e serio!
Per quanto riguarda l'aspetto dei versamenti di contributi INAIL-INPS, vi
sarebbe poco da dubitare,le possibilità di controllo sono notorie. Anzi, per le
persone disabili con redditi modesti (pensioni) in alcuni accenni sperimentali
di V.I. già emergono serie difficoltà per pagare gli importi di tali oneri, al
punto che il problema si potrebbe risolvere solo con specifiche forme di
contribuzioni figurative. In tal senso, per tipologie da meglio definire questa
è la strada maestra e deve essere ripresa.
In ogni caso, la V.I.-gestione indiretta è un percorso VIRTUOSO in termini di
risparmio e correttezza della spesa e del rapporto di lavoro, l' esperienza di
Torino è nelle condizioni di portare dati ben precisi e lo dimostreranno il
04/02. Torino dovrebbe essere la cartina di tornasole per Ferrero, visto che è
la sua città.
Posto che il modello cooperativo è più idoneo per taluni caratteri
personali-stili di vita, restano da approfondire, a parità di tempo, le
differenziazioni nei costi fra i due modelli. Tale strada sarebbe un ottimo
spartiacque per dividere i fatti dalle posizioni meramente ideologiche.
Inoltre, l'assistenza indiretta consente forme di parcellizzazione del lavoro,
altrimenti impraticabili. Tale carattere, al cospetto di taluni bisogni in
termini di V.I. e rispetto a necessità di taluna offerta di lavoro, è
essenziale.
Tornando alla questione generale, è evidente che chiunque può muovere critiche e
perplessità, ma francamente bisogna sapere di cosa si parla. Inoltre, alla luce
delle dinamiche di cui sopra, intestardirsi sulla formula delle cooperative come
soluzione assoluta, panacea di tutti i mali, appare come un indirizzo meramente
ideologico.
Tale posizione, vista da molte persone disabili appare rigidamente di parte,
irritante ed inaccettabile. Assoggettabile a strumentalizzazioni.
Tornando a quella stravagante idea di voler inquadrare delle persone con
tretraplegie-tetraparesi come dei personaggi dediti a fare/far fare bisboccia
dei soldi per la V.I. (danaro pubblico), risponde ad un sapere vecchio, pieno di
stereotipi culturali e pressappochismi. In questa lettura grossolana, le persone
disabili emergono come degli imbroglioncelli, oppure dei poveri imbelli in balia
di famelici familiari o chi per essi. In taluni casi purtroppo queste due
situazioni sono anche possibili, ma è inaccettabile che passino come una regola
generalizzata e peggio ancora, ineluttabile. Questo è falso, scorretto! Portare
tale messaggio in atti ufficiali risponde ad un agire deprecabile dal punto di
vista etico. Trasferendolo in politica produce solo disorientamenti da/verso
l'indirizzo, altre strumentalizzazioni e danni a vari livelli. Per essere
chiari, danneggia innanzi tutto la parte politica (coalizione) che le promuove.
Piuttosto, visto che giustamente si ha tanto a cuore stabilire le sorti del
danaro pubblico, come mai non si sa quanto spende lo stato italiano per le
istituzioni totali? Il Ministro per la Solidarietà Sociale non lo sa, l'ISTAT
neanche, quando si mette mano a questa vergogna?!
Restando in materia di controllo della spesa, qualche seria attenzione dovrebbe
essere rivolta anche verso la riabilitazione. Ovvero, capire quanto-quando/dove-come
si spende, senza mettere in discussione un diritto di fondamentale importanza.
Tornando alla cronaca fiorentina, si narra nell'ambiente che il Ministro ha
respinto uno scritto perché non dotato di versione in braille. Per taluni si è
trattato di un gesto clamoroso. Francamente non lo reputo tale e per quel che mi
riguarda si è trattato di una scelta di profilo politico - culturale pregevole.
Complimenti a Ferrero, però attenzione: egli dovrebbe dimostrare uguale impegno
e rigore nell'occuparsi di tutte le discriminazioni-sperequazioni a vantaggio
dei non vedenti, ovvero a danno degli altri disabili! Ecco, entrare in tali
meriti significherebbe dimostrare che in quell'occasione il Ministro non si è
limitato solo a fare spettacolo di parte!
Da ultimo occorrono urgenti interventi di adeguamenti e riforma delle
prestazioni economiche.
Restando in qualche modo legati alla questione monetaria, a Firenze é emersa
nettamente la questione ISEE. Ovvero, un presupposto generalmente legittimo,
applicato con criteri-parametri assurdi. Gli ISEE per come sono costituiscono un
arbitrio, finanche una provocazione. In sostanza , per come sono tali modelli,
per accedere alle prestazioni, una persona disabile deve giacere alle soglie
della povertà assoluta! Questo non è moderno welfare state, ma solo arbitrio
demagogico! Anche qui occorrerebbero correttivi seri, urgenti e coerenti.
Al pari di quello delle pensioni, sono questioni circondate di ipocrisie,
menefreghismi e temporeggiamenti. I danni sono molteplici ed i dati ISTAT lo
dimostrano. Inoltre, sono quei temi da logoramento politico a doppia
causa/effetto: organismi di "rappresentanza" e partiti.
Stando alle pensioni, è notorio che il tema specifico attiene simultaneamente le
"pensioni di invalidità civili e gli accompagni". Si tratta di alcuni dei pochi
diritti esigibili in fase di netta erosione-disfacimento. Per quanto attiene gli
accompagni, sono in essere inaccettabili forme di discriminazioni sperequative
fra disabili. E' solo una parte di quelle discriminazioni sopra trattate. Sin
dall' incontro inaugurale di Firenze è emerso che le persone disabili
organizzate e non, su tali questioni si aspettano RISPOSTE SERIE!
Pertanto, alla luce di quanto emerso in questo primo incontro, possiamo
sostenere che i "normali" , possono > DEVONO occuparsi di disabilità, non solo
nel rispetto del notorio "mai più su di noi, senza di noi" , ma sforzandosi
nella CAPACITA D'ASTRAZIONE. Solo questo li affrancherebbe dal frequentissimo
pericolo di assumere posizioni da "normaloidi".
A sua volta, il contesto in parola ha confermato per chi non l'avesse ancora
capito che già da molti anni fra molte persone disabili italiane (e non solo) si
è costruito un livello di consapevolezza e specializzazione tematico-culturale
di notevole spessore. Tale carattere non è riferibile ad i soli disabili di
apparato, ma è significativamente diffuso fra le persone disabili comuni. Esso è
meritevole di rispetto ed attenzione. Il ceto politico farebbe bene a prestare
più attenzione e rispetto verso queste voci e non fermarsi ad obsoleti e
surreali criteri votati a concetti di "rappresentanza" rispondenti solo ad un
immaginario convenzionale e di comodo.
A noi non serve più quel vecchio modello pedagogico-politico calato dall'alto da
mater/pater familias (incluso se disabili) che ci spiegano "il bene ed il male".
Le persone disabili devono elaborare le loro energie in termini di forza da
investire. Tale forza deve sistemare critiche e proposte, fungere da laboratorio
sperimentale nell' organizzazione di un'AZIONE TRASVERSALE.
Auspico ed esorto che dall' incontro di Genova in poi, si riprendano le
questioni qui trattate, inaugurando un percorso che tocchi tutti i temi
sensibili per le persone disabili.
Si tratta di contenuti centrali nella Convenzione ONU, essi vanno dalle
questione infantili e femminili, alla fruizione della mobilità sul territorio,
per continuare con l'indispensabile diritto all'istruzione a tutti i livelli ed
al lavoro mirato.
In sostanza, chiudere con "l'inserimento sociale", ed aprire la vera partita
della presa in carico, per l'inclusione sociale. Non dimenticando che
l'inclusione sociale deve passare per i meccanismi dell' integrazione.
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